sabato 27 agosto 2011

perdenti ridenti

Vorrei alzare il tuo velo. Sei solo ma io non ti credo. Né cedo alla folla che pressa la piazza disparsa procede la festa del santo patrono che tutti ci ignora e rasenta volando la fogna. Ascolta l’odore di muffa che sale dal cielo leggero cadendo il frastuono ci sveglia dal sonno profondo nel mondo restando da quando siam nati. Morti solo per noi stessi. Mi manca la sabbia attaccata alle tue mani che ogni carezza sanguinava. I blocchi di fogli bianchi coi santi che che volevano ricordarci le nostre amnesie. Misteriosi castelli gemelli nel mare si ergevano forti come fratelli tra le corti di spagna piantavamo i nostri futuri troppo gelidi per schiudersi al sole. E tu venivi dietro ogni data raccontata e sorrisa e commentata da attenti risentimenti celanti cuori affranti dalla lontananza delle onde. E tutto riecheggiava lontano giù fino al cimitero sottile come le ruote della tua citroen vecchio stampo che dentro potevi trovarci cappelli a cilindro ma anche ragni ad angolo. Ed era estate e pioveva e grandinava solo perché ni potessimo restare soli ancora un altro po’.

E pioveva e grandinava solo perchè potessimo restar soli un altro po’. Che insieme eravamo più forti dell’estate. Restando ore a spiare il ghiaccio cadere. Mentre il legno raccontava storie di qualche anno fa. E non perdemmo nulla tranne il sole sopra l’ombrellone.

martedì 28 giugno 2011

modificare la costa per farla diritta

che i fumatori di crack un anno fa erano forti e neri. c'era una musica al mare che potevi sentire. vivendo tra la sabbia non ti strappavi. come biglie seppellite da bambini occupati a scavare bucavamo il mondo per farlo migliore.
e le matite le grafiti i diamanti le dita grosse la vita di sempre l'esordio nel mondo l'eterno ritorno la serenità che cercava l'aumento dei prezzi i salari bassi le lauree triennali la fame le dune l'america del sud che festeggia il carnevale e non si spoglia più.
che bastava dell'acqua a farti scappare. e non c'era niente per poterti asciugare. nascondersi per non fumare. nascondersi per non fumare. nascondersi per non fumare mentre partorivi.

lasciando il cuore sul comodino torno al solito lavoro.

tornano i fantasmi in tv. che ci facevano paura. e non dormivamo più. sui letti giapponesi. che avevamo scavato la terra per metterli meglio. per guadagnare spazio e spenderlo in birre. e i monaci pregavano per noi, per farci tornare l'amore delle superfici. per le nostre vite infelici. che giocavamo a spaventare i mostri sulle scale dei condomini. gettavamo piatti nelle strade nelle vie dove le api pungevano a tutte le ore. dove si vedeva il dolore delle amarene al mercato delle fiere e si beveva il sangue delle mattine estive.
non potevamo sognare se non vivevamo. non potevamo arrenderci se non partecipavamo.
che mi dicevi di seppellire gli zombie ancora vivi, e poi ti riaddormentavi. coi capelli ancora bagnati di pioggia in mezzo alle strade gridavo in coro contro il governo e non lo volevi. piantare ulivi in collina ci avrebbe allontanati. vecchie storie scadute tornano a pretendere le nostre vite. per rovinarci di nuovo le scarpe nuove con la polvere dei terreni sterrati. con le feste di paese e le sagre le case i maghi futuri vissuti solo sulla bocca della zingara della domenica sera. non c'erano commedie a rapirci l'attenzione. non c'erano spazi per colorarci.
chi ci ruberò domani? chi scivolerà via i nostri dolori i nostri tumori le nostre paure sradicate dalla monotonia dai grigi delle scale dai sogni finiti male dalle notti passate a non dormire.
e studiavo come poterti colpire. come non farti morire. dove lasciarti pregare il mio nome. volevo una musa da guardare marcire.
che era bello infrangere i tetti cadendo dall'alto.

mercoledì 16 febbraio 2011

che mi toglievi il cuore dagli occhi

chiudere gli occhi controvento. cosa potevi mai volere sedendoti sul marmo. non c'era nulla da sfatare in alto mare. col nostre barche senza vele a spingerle per farle andare. e inventavamo il francese. che faceva troppo caldo per tutto il resto. troppo freddo per poco altro. elenchi di cose in fondo e in superficie. che tutto si riempiva d'acqua e avevo paura. come affondare una religione nuova. come conoscere gente buona. che c'era comunque qualcosa che batteva. mentre il tuo sguardo si muoveva veloce come la luce. le parole emigravano da altre parole. e senza discorsi potevamo solo dormire. lontani due emisferi. lasciandoci su facebook come le coppie normali. e maturava il grano in campi che non riuscivo a vedere. e me lo narravi. di cosa possano pensare le spighe del sole. e il rispetto per le esigenza dell'uva. contadini senza mani che si muovevano di corsa in storie neanche troppo lunghe. e c'erano case bianche e colonne e cancelli aperti con vecchi furgoni laghi vagoni ladri maggioni e sorrisi che portavano frutta da regalare e saluti a casa famiglia parenti serpenti a cui bisogna prestare attenzione. come ai parcheggi in seconda fila. e la calma del mare d'autunno. il vento che rompe il mondo. camminare vestiti d'inverno sui nostri ricordi abbronzati e già sbiaditi. imparare le regole di giochi a cui non giocherai e mangiare prima di indietreggiare. prima di ingrassare. cercando la frutta di stagione. e non c'era spazio per farsi posto. solo un miraggio del tuo ricordo distrutto dalla sete dell'inverno.

percorrendo strade di campagna speravamo di perderci nei capoluoghi di provincia

quando di notte non riuscivamo a dormire. e i nostri cuori li riponevi in cucina. fanno troppo rumore, pensavi. ma non lo dicevi. fedele al tuo basso italiano sessantottino. pensando di muovere i fili delle mie espressione facciali. che un vecchio sorriso, volevi. che i muscoli erano arrugginiti. ed ero un animale domestico ma non mi sfamavi. mentre i vestiti sporchi ricoprivano le pile di libri da leggere. e i virus annerivano i film presi in prestito da emule. come nelle biblioteche comunali. senza lungaggini burocratiche. senza sportelli da salutare. ricercavo l'orizzonte in ogni campagna. mentre la tua mano cambiava marcia e l'ulivo sulla collina sembrava pronto a farci festa. sorgerà la luna un giorno, e mi sporgevo dal parabrezza. mentre le blatte infestavano i ricordi delle nostre estati e le onde rompevano quei nuovi silenzi sabbiosi. e scavare e scavare per venire al buio delle barche che riposano in pace d'estate lasciate sul molo ad aspettare il ritorno del proprio padrone. come cani fedeli ci seguivamo con gli occhi nei nostri arrivederci. ed erano ore passate a pensarci senza vestiti. stretti sui nostri letti sudati. e tornava la calma dei pomeriggi d'agosto a parlarci di tutto. e anche il cuore rispettava i nostri limiti. rimettiamo ordine nei nostri corpi e fazzoletti nelle nostre tasche. e spostare l'equatore per non sudare. e volevamo spezzare l'orizzonte per non poterci più allontanare.

domenica 23 gennaio 2011

e con la luna mi prendevi la vita

prendiamo appunti sui tuoi capelli. che fare altro oggi proprio non ci va. prendiamo a pugni tutti i cambiamenti e ci ingessiamo con la colla poco pratica. sogniamo a turno campi di cotone e gente morta in alberghi umidi. e se ci fermano saremo già fermi. e se ci distruggono saremo già a pezzi. da incastrare a dovere come i puzzle dei centri commerciali degli ipermercati degli insonni ipertesi. mentre negli asili nido richiudevamo gli occhi sul resto. la bocca sul tempo. e se ci vorranno trovare saremo già evidenti. e se vorremo volare saremo già tra i venti. a tuffarci nei laghi più grandi più ampi più lenti di una nuvola corta più stanchi del sole che torna ad ogni alba a farmi lasciare la tua mano nei sogni e dirti l'ennesimo arrivederci.

venerdì 7 gennaio 2011

sono il figlio di dio rimasto orfano

che lasciavamo i nostri cuori in cucina e ci ricoveravamo nei letti gelidi che con quel rumore non potevi dormire. andiamo a fare colazione con le mine inesplose. a togliere i punti neri dai pensieri otturati. iscriviamoci ai circoli per gli anziani e tesseriamoci ai circoli viziosi. che non eravamo ancora giovani abbastanza per morire di idee. e mi offrivi cioccolate rubate in giardini infiniti. e cani che pascolano che ruspano che brontolano che fuggono e ritornano sempre dalla persona sbagliata. mentre scavavo la tua fossa sulla spiaggia invernale. costruiamoci una casa sugli alberi troppo alti dei cimiteri deserti.

lunedì 3 gennaio 2011

su letti di ghiaccio scolpivo il tuo volto

con negozi di serpenti nelle tasche. rompiamo i gusci alle noci con le nostre parole dolci. una pagina a caso. un morto che si alza e cammina senza risorgere. un'isola lontana cinque anni e pochi mesi. un amore cresciuto male. un amore rimasto a piedi. che non fai altro che sputare sulle lacrime. mentre i litri di vino ti invadono. le formiche. le prefiche. le allucinazioni infantili. le favole senza finale la fine di tutto finisce ogni anno all'inizio.

domenica 2 gennaio 2011

col tuo odore tra i denti.

raccolte differenziate di stelle cadute dal cielo sincero. di foto di storie future in bianco e nero
ridevo. coltivavo cuori in aziende agrigalattiche. rivendevo amori in mercati apocalittici. protesi per sogni claudicanti. e disegnavo linee curve sulle tue mani illegibili. e senti qui che freddo che fa, andiamo a ballare un po' più in là. e senti qui che vento che c'è, tornare indietro amore è impossibile. che fuori le chiese chiuse ricordavo le azioni migliori di persone che forse erano ancora vive. e le tempeste le ire funeste i piccoli gesti di notte sulle spiagge sulle terrazze sui tappeti di case che non ci hanno accolto. morire di sabato sera era il desiderio di ogni candela.

sabato 1 gennaio 2011

che mi mordevi quando poi mi amavi

ogni notte un piercing sul cuore apriva buchi che non si aprivano mai. sogni di un letto disfatto e tra le coperte come onde sfuggendo in zattera dai capodanni già visti. e si rompeva l'elastico delle palpebre e cadevano su tutto. mentre contadini senza mani accompagnavano i tuoi riflessi nelle mie riflessioni. senza cercare. senza capire. ad ucciderci di calcio e pall mall perchè fa male. a contare i bottoni dispersi tra le rive del mare. senza provare mai una emozione. senza contare che a natale era difficile fare l'amore. che gli orizzonti ci inseguivano sempre tra la terra vuota e darci un riparo sereno erano solo gli ulivi. che vendevano al cielo segreti fidati di alberi stempiati mentre il cielo si vestiva di nero per il nostro martirio.