sabato 18 dicembre 2010

tornare a morire di fame sull'autostrada del sole

mentre seppellivamo i corpi marci dei verbi al passato remoto. che mettevo le mie mani nelle tue. e fa troppo freddo per stringere, dicevi. e fa troppo poco freddo per piangere, credevo. morire dormendo nel gas. vivere svegliandosi da un incubo tremendo. tornare per vederti scopare con le vergini di norimberga. che amare uccide male, pensavi. e me lo scrivevi sui biglietti d'auguri. mentre scavavo tunnel che il cielo schiacciava. e sfornavo biscotti che nessuno mangiava. desiderando di avere un dolce domani.

mercoledì 21 luglio 2010

che era preferibile consumarsi tanto tempo fa

un vecchio piegato nella fermata. e mi chino su me stesso per capire cosa vuoi. e sbrino me stesso per darti quel che vuoi. lasciato da me stesso in balia delle alghe.
giovani vitelli scuoiati e aperti come ante d'armadi vuoti. c'ero io nei tuoi respiri e non lo sentivi. c'ero io tra i tuoi sospiri ma non ci credevi.
che tracciavamo le linea a matita del nostro futuro. che pensavo a quanto fosse salato vederti dormire. mentre una moltitudine di tarme bucava le mie sicurezze. mentre mangiavo le unghie dietro le verande. uno strazio che suona come una saracinesca lasciata cadere di colpo.
mentre credevo che nulla facesse male. mentre volevo che il cielo mi prestasse attenzione.
invulnerabile come chi è già morto.
invulnerabile come un morto.

martedì 20 luglio 2010

che ti trovai mangiato dagli avvoltoi tra i carrelli della spesa

se andiamo oppure no in vacanza morirò li con te chissà perchè il cielo è blu contando che non c'è mai quella massima conoscenza dei fatti che porta la gente normale a tradirsi. che il vento se ne andava sbattendo le porte e restavamo sugli scogli a cercare dei guanti. diciamo che stanotte ricorderemo male. facciamo che stanotte spargeremo sale.

giovedì 17 giugno 2010

mentre osservaamo il candore dei soffitti affetti da atassia sentimentale.

con i nervi tesi giocavamo al tiro della fune. mentre ci franava accanto il sole. e il dio più lontano è quello che preghiamo. e il dio più lontano è quello che preghiamo. in bilico tra suicidio e angosciosa sopravvivenza giocavamo alla caccia al tesoro coi nostri equilibri. gli orizzonti dei nostri avatar che si intrecciavano in mezzo all'oceano. e se non potevo vederti forse non c'eri. e se non riesco a vederti ancora ti mimetizzi nella quotidianità settimanale. che era un crimine soffocare i tuoi pianti. che era facile allearsi coi tuoi mostri. mentre coltivavo paure nel mio orto. che ho bisogno di aria, dicevi, e poi mi lasciavi. ho bisogno di prendere l'aria, dicevi, ma non respiravi. mentre volevo dare forma alle notti senza luna. cadere nello spazio. e pentirsi di pentirsi di pentirsi di pentirsi di pentirsi di pentirsi. e alla fine forse tornavi ma a farti vedere non ci riuscivi.

giovedì 10 giugno 2010

che mi facevi domande e non rispondevo. e tu lo sapevi.

lacerato dai dubbi, ad averceli, imparare a conviverci, procrearteli, procrastinanti, premeditanti la tua fine, senza altro da raccontare. suonare l'erba come l'arpa. incidere suoni. avanzare su pavimenti di marmo all'ombra dell'ultimo nome. lasciarlo marcire tra le promesse da fare tra gli scaffali stracolmi di frutta lasciarti marciare verso il pane integrale. che col reflusso è meglio non scherzare. con il mio orgoglio lasciato in macchina sotto il sole. ad aspettare. col finestrino abbassato per non poter morire. neanche volando. neanche piangendo. neanche tirando fuori dal cilindro l'ennesimo coniglio suicida. perdendo l'amore l'onore l'orrore d'amare l'errore. su un'oasi di pietra costruivi castelli di sabbia con torri pendenti che per vedere i quadri dicevi è meglio sdraiarsi. accarezzare i vetri come narcisi. viandanti sperduti nei proprio rancori. a tentare di capire come usare la tessera sanitaria per guarire dai battiti irregolari. a tentare di carpire l'attimo di ispirazione che non ti vuol sventrare. come in coma con la propria testa. dondolare di anno in anno aggrappati ad un copertone. in attesa che il vento asciughi il sudore. in attesa che il cielo ti doni un colore. e pensare di vincerla contro il niente che ti conta il tempo che passa senza calma. finendo chiedendo consigli ai muri vestiti di aforismi.

giovedì 27 maggio 2010

È un’attesa dopo un’altra attesa

Come un criceto che cerca l’equilibrio dentro una ruota. “come rimpiangi anni fa, giorni sbagliati ma diversi”. Come cercare gli incubi dentro ad un cassetto. Creare storie di giovani amanti dispersi. Mi piacerebbe stare in coda ad aspettarti ore ed ore. E ritrovarsi come dopo aver chiuso gli occhi la luce. Senza ricordarsi che giorno è. Ed evitare il sole. Mi piacerebbe concentrarmi per ritrovare il mistero. Le tue storie sul cielo. Sentirsi soli in mille modi. Come evitare di sfiorarci gli sguardi. Mi piacerebbe veramente farci male ogni sera prima di cena senza poi frenarsi. Come se niente fosse. Come se non bastasse. Stare in coda ore ed ore ad aspettarti. Rintracciare le note di una chitarra nel rumore. E dormire e ascoltare e dormire e ascoltare e dormire e ascoltare e smettere pensare di smettere di fumare e dormire e ascoltare e dormire e guardarti parlare. Come se consegnassero a domicilio canzoni di natale. Col tempo che volava e tu non hai capito. Col cielo che tagliava e tu non hai sentito. È un giorno come un altro e tu non l’hai finito. era tutto troppo grande e tu non l’hai diviso. Cercare emozioni anni fa. Sentire cosa dicono di te vecchie canzoni italiane. Come sulla riva lasciarsi invitare. Come se mi piacerebbe uscire fuori. Collegarsi come se fosse divertente prendere ancora fiato per sbagliare. Senza aver progettato l’errore. Pensare e ripensare. Pesare. Passare. Sparare sugli stormi migratori. Che mi piacerebbe veramente cambiare fare finta di volare.

giovedì 20 maggio 2010

e cosa lo è?

trascivere diari segreti. gli appunti di scuola. le cadute. le tirate. le giocate. le idee malsane poco chiare. i bisogni. gli incesti. le vesti da portare a mare. non saperlo fare. di scrivere canzoni. neanche quando il resto tace. anche se il soffitto cede. e ti ritrovi a cielo aperto. col culo rotto. col morto che parla di calcio. i polsi sporchi di fango. le feste. il paese. le luci. gli odori. i frastuoini. le previsioni del tempo che sognano. gli animali domestici che diventano figli e scappano col primo nuovo padrone che incontrano. le tare. i deficit del bilancio. l'agenzia delle entrate che chiude. la sera che arriva sempre in tempo per cena. i vizi capitali investiti in bond argentini. orologi fermi alla notte dei tempi. ricordi. miliardi. torte dipinte. sognatori esperti di futuri irrealizzabili. firmare le ultime lettere d'amore e di scuse. lasciarti cadere.

mercoledì 19 maggio 2010

nato come un amore già morto

leggere il mondo sui muri delle vecchie scuole. sognare i mari alla fine di ogni tramonto. calpestare uva sotto le croci. che avevi paura dei tuoni e ti nascondevi. che avevo paura ei tuoi e non mi chiamavi. mentre cercavo l'epitaffio giusto per le nostre fini. per le nostre funi. che tagliano l'aria che espiri. che cadono i quadri che ammiri. mentre ci riversiamo sui tetti. mentre facciamo l'amore nei letti dei fiumi sepolti. asciughiamo gli orgasmi come infermieri. auscultiamo i violini degli stranieri. mangiando di forza le mani dei nostri cugini lontani. mentre moriamo sempre e mai definitivamente.

venerdì 9 aprile 2010

come chiedere a facebook una vita migliore

finiremo a piegarci su lacci di vecchie scarpe. a colorare vetri per impressionare gli impressionisti. vivere insieme alla noia di dover morire. che è comunque eccitante. chiudere gli occhi sulle nostre eruzioni. che dopo cena usciamo col sole. noi che lo stretto di messina si allargava ad ogni partenza. come una ferita che si rimargina e tu rimani la crosta. col passato che si fa difficile. che è comunque eccitante. che è comunque eccitante. rimpatriare i sigari cubani che sono di fuori. segnare indirizzi sul cellulare per corrispondenze infinite. col cuore che sfratta i globuli rossi. e cantautori tristi che ridono alle proprie battute. rispondono alle proprie domande. riprendo i proprio buonumori. e li pubblicano. e condividono. e cambia il tono di tutto il resto. che nessuno sente più le stesse cose. che la torre di pisa smette di cadere e comincia a volare. e cominciamo ad averne paura. e faremo arrabbiare gli unicorni.

giovedì 11 febbraio 2010

licenziati pure dai giochi di ruolo.

nel buoi delle nostre stanze cinesi. che già mi ero perso nelle caverne dei tuoi occhi. brindiamo con l'aceto alle nostre ferite d'amore e d'altre guerre. delle vite andate a male nei ripostigli fracidi. nei ricordi gracili. che alleviamo rettili tropicali per cambiare le stagioni. tiriamo pugni in aria sanguinanti. accoltellati di parole. mentre scivolavano le nuvole sul bagnato. e ci cadevano addosso. e ci chiudevano gli occhi. e ci passava la fame. mentre andiamo a fare la denucia che i soliti ignoti ci rubano la verginità. e tu per la seconda legge della termodinamica non dovresti neanche esistere. ma mi respiri addosso come miele.

lunedì 11 gennaio 2010

alla ricerca di titoli ingiusti

carichiamo cannucce a salve e sputiamo stelle. rovesciamo le nostre esperienza interiori sui bordi dei marciapiedi. e non risolviamo i nostri problemi che escono numeri troppo grandi. amare d'inverno un deserto che non hai ma visto. setacciare il mare e riprenderci i vecchi residui. le scorie del nostro amore. che forse Platone tornerà ad avere ragione. deformiamo i nosti volti felici per essere riconosciuti. facciamo la raccolta differenziata delle nostre colpe. sommiamo le reciproche sottrazioni. ci ritroviamo a scendere scale ciechi e soli. con poeti che non fanno più rime. scrittori che fanno i centralinisti. passati che distruggono tutto come nei sogni di guerra. alla ricerca del buco giusto. e sull'autostrada del sole il cielo è coperto. mutiamo come nuvole appese al vento.

domenica 10 gennaio 2010

quando arruolavamo maghi per illuderci, che noi si era diversi.

cadere come soldati sul fronte. di fronte la speranza di restare uniti e illesi. vivi. come marinai che fanno buchi nell'acqua e marinai che guardano buchi nell'acqua. come satelliti inutili che si piegano alle forze maggiori. alle troppe pressioni. progetti perfetti sfumati. lasciamo il posto a vecchie cartacce. andiamo avanti che non sentiamo più niente. che a capodanno facevamo saltare i tappi dalle orecchie. per farcela ancora. per riuscirci di nuovo. mentre Van Gogh continuava a sentire la pressione del cielo. mentre scoppiano i cuori come mine disinnescate male. e le persone implodono. e le persone muoiono. come dare soddisfazione a un dio redentore. come stringere la mano al colosso di rodi. e vedersi estirpare le proprie illusioni. come amputare i raggi al sole. e leggere shakespeare sulla neve. addormentarsi su una panchina di crotone. guardare un film in terza dimensione. togliere le mosche dai corpi vuoti di vecchie signore malate. seminare alberi enormi in piccoli orti. strafare. in ogni direzione. e mettersi a dormire per non avere più niente da amare.

battiamo le mani ad un giro di poker.

che abitavi sopra di me ogni notte. scavavi miniere di carbone dolce sulle pareti del mio stomaco come ulcere. e chiudiamoci gli occhi a chiave per non perderci di vista. mentre ritroviamo i suoni gli odori i sapori gli umori persi nelle distanze. e coloriamo di verde i pollici dei nullatenenti e mettiamo le tue sciarpe ai colli delle bottiglie. piazze occupate dagli scioperi generali dei disoccupati. cortei funebri mobilitati. cacciamo il vento dai tuoi capelli e i pipistrelli. aggiorniamo il software della nostra relazione. pubblichiamo interventi plastici per sembrare più belli. per sentirci più fermi.

venerdì 8 gennaio 2010

che vivere è più faticoso che morire, dicevi. e prendevi integratori a colazione.

come talpe che scavano il giorno. le tue mani sui miei fianchi. sogni stesi ad asciugre quando fuori manca il sole. come mutande umide dopo due settimane. e dopo aver fatto l'amore pariamo col brutto tempo nel bagagliaio. che lasciamo volare la cenere rimasta dal fuoco di sant'antonio nel tuo petto. calpestiamo letti sfatti e immaginiamo galassie fosforescenti nei cieli abbandonati di campagna. cellulari che sono computer. computer che si ammalano e perdiamo parte di noi. manca già un'estate alla nostra collezione di ricordin affilati come lame. mentre cambi penna e non lo scrivi. come talpe che si perdono nelle notte di mezzogiorno. costruiamo muri di Berlino nei formicai. soffro di ansia da risveglio e paura di cadere. mentre cerchiamo conforto in cuscini sformati. e c'è un tempo per vivere e uno per morire, pensavi. ma i fallimenti durano per sempre.