martedì 29 aprile 2008

tritare i ghiacci tritare i ghiacci tritare i ghiacci tritare i ghiacci

Ho detto basta. E non ne capivo la portata. Gli effetti collaterali.
Che causa raramente la morte ma tutto può essere.
Era la terza fase che il telefono ha suonato
E ho cercato di fare qualche cosa per cambiare questo sfondo
Questi muri spessi
Che non sono quelli che attraversavi e non sono quelli che attraverso
Quando uccidevi la paura con un solo gesto
Quello strano giorno che non ricordo
Che poi i tuoi passi alzavano il vento che a stento avevamo addormentato.
E ci guardiamo intorno contando gli estranei che ci abitano il nostro mondo
Che lo vivono, che lo deteriorano
Che ce lo cambiano mentre non ci siamo.
E poi mi chiedi dove ho messo le chiavi che non ho mai toccato. Attendere un po’ di fiducia. Baciarsi nella nebbia per far finta di non esserci. E regalami questa vita. Ma non credi sia vera. Dormi che io continuo a contare le corde della tua chitarra immaginaria. E perché non facciamo che siamo soli insieme? Che non c’era niente da salvare ma volevamo arrenderci insieme. vestiti di bianco. Il battesimo di una nuova ispirazione. Un amore amaro dal dolce finale. La naturale conclusione del nostro ciclo. Che era come crescerci in un unico guscio che il freddo ha rotto. Che il freddo ci ha tolto la primavera dagli occhi. Che le poso le nostre scatole, richiuse, sigillate. E cerco un’altra casa che mi protegga. Un altro quartiere che mi accolga. Un’altra storia che mi contenga. Che mi leggo ancora scorrere nei tuoi titoli di coda. Mentre la sala è vuota e le luci spente. E cerco nuovi spunti per accelerare il naturale processo di eliminazione. Che lo dicevi anche tu, “forse sei un congegno che si spegne da se”.

sabato 19 aprile 2008

tu lo sai. che le parole si lanciano. ti si scaraventano addosso. e ti entrano dentro. e un buco te lo lasciano. e a volte si riempie di stronzate che non sai come liberartene. che ti sembra di avere una mosca nel cervello. e noi giochiamo e le regole ce le facciamo mentre andiamo avanti. che gli alberi si incastrano nel mondo. e i suoni si sovrappongono. e i rom danzano nei loro campi recintati. nei nostri ricordi riscritti. nel caffè ristretto col sonno che si espande a macchia d'olio. e gli odori della terra che ci salgono sopra. ci accarezzano. ci ammazzeremo di noia ma anche un po' di gioia. la gioia dei tuoi andirivieni. l'andropausa di riflessione. la costante incognita. il sistema. le elezioni. e ristrutturare casa che non è mai come la volevi. che bastava dire come la volevi. che le foto non hanno date ma solo margini. che ci veniamo incontro solo se ci spingono. e sorridiamo ai muri che crollano. agli ubriachi che barcollano. alla notte di porcellana. e ti strapperei la luna a morsi da quel cielo di merda che hai.

e non faccio mai centro nei tuoi silenzi concentrici.

E trovi la musica nelle parole e ti piace lasciarti ascoltare. Col cuore contuso. Ammaccato. Che se succede, sterzo per non venirti addosso. Col quello scheletrico ricordo di due sulle scale. E non ci piaceva fumare. Ma solo aspettare. Solo cancellare i bordi delle parole. Senza che i sensi ci irretissero. Senza che i significati ci pescassero. Che le tue pietre nell’acqua rimbalzano e le mie la bucano. Che poi ci entra la sabbia nelle scarpe. Che il mare stanca anche quando non lo vedi mai. E ci stai male. E vorresti scoppiare. Da dentro. Implodere. Creare i colori dei fuochi. Nel silenzio di un vuoto scavato a mano. I nostri periodi senza subordinate. In quei giorni che parlare sembra quasi irriverente. E allora le schiene si incontrano. I vortici inghiottono i nostri cavalieri solitari. E ci disarmiamo di comune accordo. Per morirci insieme. Per distoglierci dalla vita. Per distrarci dall’esistenza. E invaderci nei corpi come turisti in chiese gotiche. Estasiati nel buio di chi sogna la grandezza. Affamati di quiete. E strappi da me qualcosa con tutte le radici. E la mostri per qualche giorno. E poi passi ad altro. Mentre i miei pensieri zoppicano per quello che mi hai tolto.

che l'Italia sembra ancora più stretta.

Ricordo ancora i sogni di mio padre. Che io li avevo scartati. Che lui li ha ustionati. Di abitudini. Di passati. Di “concetrati su quello che fai e fallo bene”. Che tu ancora non ci sei. E guardo le stagioni che lasciano i tuoi discorsi inermi. ora che in quei tuoi silenzi di velluto non vedo più colori. Ora che ti ho visto, che sei viva, e torno vivo anch’io. I pomeriggi passati a chiederci in quale fase lunare eravamo. Il tempo di un momento, e sui tuoi sensi ci ricamo. Che l’hai messo a dieta il mio cuore. E ora amo poco. Ora amo meno. Che si può amare anche peggio di cosi, ma sto dando il massimo. Che non volevi essere uno sconfitto ma solo un sognatore. Che sei un amen sussurrato. Un animale morente. E mi estirpo il dente del giudizio e il mio ego del cazzo. Che in quello stato non ci torno. Che per te non mi accontento. Che nelle ombre ritrovo la nebbia e mi condiziono. Che la faccio la mia marcia trionfale su Roma anche se ho perso. Anche se non c’è verso da farti cambiare. Mentre scopro che eri solo una canzone cantata a squarciagola nel nostro piccolo teatro degli errori.

domenica 6 aprile 2008

ci siamo rotti.

e tu ora sei morto e scopi da dio. e scopi con dio. e io resto un aborto mancato. la fogna del cielo. cieli appena verniciati. imbottiti. imbrattati di scritte da ultrà. cani sciolti ovunque. Saba. Ungaretti. Montale. Calvino. Gadda. Pavese. i falò. le spiagge. la città dei matti. le frane. la sparatoria al semaforo. i fiori di plastica. che non so se è quello che cerco. che non so se è quello che voglio. ed è la natura morta del tuo sguardo. ed è il cemento che non c'è più giù al porto. al porto. dove scalavi pietre per piangere di fronte la costa. dove chiedevi che ne pensavo dei capelli rasta. dove aspettavamo la sera per andare altrove. per raccontarci le storie. per scopare comunque. e cambiare quel disegno che è sempre meglio un altro. che ne pensiamo sempre uno diverso.e guidiamo le nostre macchine telecomandate in parcheggi deserti.

sabato 5 aprile 2008

tutto ciò che non ho fatto nella vita, non l'ho fatto per principio.

andiamo a guardare i buchi dei cieli. e sarei falso ad essere sincero. che non è quello che voglio. che non è quello che sono. mastico gomme di pane. che la gente fa male e a volte bisogna stare male. che la cucina è una macelleria. che comincia il conto alla rovescia in quella cucina che sembra una macelleria. e la vecchia signora cattiva ci stringe la mano. e guarda il sale della vita che mi alza la pressione. e la cultura brasiliana è sempre un po' sabbiosa. e le rime non ci sono. e la musica tace. e il telefono squilla. il nostro amore vorace ha espulso tutto il resto. e uscire di casa in mutande blu. e prendere il treno in mutande blu. e ascoltare Rino Gaetano in mutande blu. blu. giù. più. tu. due parallele che si perdono di vista. un gomitolo di piani esistenziale. trascendere. speculare. varcare il confine tra lo specchio e il trucco. e la tua vita è solo un libro che si legge in un'ora.