martedì 15 gennaio 2008

pensieri che non ho

vorrei essere l'autore delle citazioni che compaiono nei tuoi discorsi
un artista col fegato lacerato che gioca a fare il morto
alzare gli occhi al cielo e incontrare il soffitto
simulare un orgasmo per non perdere la rincorsa
tu e la pesantezza della tua collezione di pietre
mostri marini su barelle di cemento si iniettano insulina
vorrei un nuovo disegno da appendere sul muro
vorrei vivere nella fobia degli ascensori
vorrei chiudere in un barattolo i miei sogni infranti
cantare in veranda vecchie canzoni country battendo il piede a tempo
vorrei che avessi conservato una storia porno per la prossima notte
a vomitare sui nostri pavimenti di marmo
e prendere il futuro a piccole dosi
e sentire i camionisti fischiettare fino all'alba.

sabato 12 gennaio 2008

e c'era l'incanto del tuo volto nelle squame cadute di un vecchio serpente

i volontari raccolgono le carcasse dai bordi della strada. un trapezista perde sangue sulle teste dei suoi osservatori. c'è ancora luce nei tuoi pugni chiusi di macellaio. col gran freddo smetterà di germogliare il frutto dei tuoi ripensamenti. eterne indecisioni. similitudini incolte. monete lanciate e mai rincorse. l'ultima lettera di un suicida morto. scaricare i miei sensi di colpa nel cesso. fare i baffi al quadro della madonna. al quadro della gioconda. al quadro di mia nonna defunta. sentire gli odori che escono dal televisore. soluzioni alternative. il concime universale per il nostro inganno. do da mangiare al pesce rosso che mi nuota intorno. aspetto impaziente il fumetto del pistolero distratto. e covo le uova del mio rimorso. come la madre che accompagna la figlia al catechismo. senza figure storiche a predirmi il passato. senza noci di cocco da prendere a martellate. riponendo l'accetta nella legnaia. sognando un pessimo raccolto.

o sono io che vivo male o è il male che vive in me.

quando sto in piedi troppo a lungo. quando a chiudere gli occhi non ci riesco. l'autorizzazione per l'allestimento del mio inceneritore personale sul divano letto in soggiorno. inizio il conto alla rovescia per l'autodistruzione. il tuo pensiero agita mani e braccia per restare a galla nei miei maremoti. cominciare a leggere un libro sull'età degli unicorni. la raccolta dei rifiuti passa alla stessa ora dei miei lupi mannari. sono uno scrittore che si finge un uomo. quando guardo la tv con dentro le sue spremute d'arancia nei bidoncini bianchi e vorrei un frigo enorme e lo stomaco inerte. e sono chiuse le nostre finestre disegnate sul muro. e tu hai la voce sinuosa di chi sta giocando al gioco del diavolo. e anche se i pulman di notte non passano il bar di notte è pieno di gente. finchè non sarai qui nulla potrà peggiorare. finchè non sarai qui nulla potrà peggiorare. mentre aspetto che la pecora torni nel suo ovile e lancio marmellata dal balcone.
e mi hanno dato i compiti per casa e sono solo cento flessioni in serie da venti
e metto i tuoi capelli amaranto nel frullatore ad immersione
e comincio a deglutire con i tuoi inverni in ogni angolo.

venerdì 11 gennaio 2008

il mio embrione di felicità annegato nel tuo liquido amniotico

gli elastici dei calzini e le tue piccole grida isteriche. sei quel livido che appare sull'avanbraccio in un giorno qualunque. senza urti, senza dolore, senza passato. mastico i chew-gum del discount mentre le autogrill sfornano caffè in continuazione. ti ho ridotto a relitto e riportato alla luce. e sei più importante di prima. ora che non sei niente, ora che sei vecchia, ora che non ha più nessun ruolo. il mio patrimonio archeologico. il museo delle mie pene. si è staccato l'angolo destro del poster del rivoluzionario sul muro di fronte la finestra. lo sento stremato nell'ingenuo tentativo di resistere alla gravità. ci sono forze più prepotenti di te. e anche se non ho più il mio tempo libero e le mie scorte di birra e l'adesivo dei mondiali non vuol dire che tu abbia una buona scusa per tutto. i piani del sabato sera sono per lo più un "ciao come stai?". provo a ricomporre il puzzle con una chitarra. i miei piani per il sabato sera falliscono a causa dei miei piani per il sabato sera. la mia palla da boowling non ha mai fatto strike e per ogni uscita di pista le tue scimmie ammaestrate danzano sul mio ego ferito. io che perdo l'autobus e da te non viene più nessuno. anche se quella gita al lago non l'abbiamo più fatta.
ora che non ho più ultime occasioni da concedermi
mentre tu disegni i contorni dei tuoi incubi in letti umidi
mentre io ancora lotto col tuo pensiero clandestino nel mio corpo
e il trangolo delle bermuda ha perso il suo fascino
e la mia solitudine era indipendenza da te
e ora convivo col suo desiderio freddo chiudo nel barattolo del sale
col silenzio enorme che ha lasciato il tuo passaggio
come il corteo d'un funerale in cui io disteso ad occhi chiusi
non sapevo e non chiedevo dove mi stessero portando
come la bambola dei tuoi giochi violenti
e ancora aspetto che la gamba mi sostenga appena passi il formicolio.

lunedì 7 gennaio 2008

quando tu cucinavi perchè ti divertiva vedermi morire di fame

sento la tua voce ripararmi dal freddo e tu sei chiusa in bagno. sono sotto una pioggia di sassi e nulla fa più male di te. le mattonelle scollate del bagno non tengono conto delle nostre giostre. gli sms che ti chiedono come stai. e le domande che vorrebbero rivelare tutto. e gli sms che chiedono dove sei. e le tue risposte che non arrivano. e io che vorrei avere un angolo antiatomico per le tue esplosioni ormonali. ed intanto a gattoni su un parquet immaginario cerco le parole che mi hai tolto. le insegne dei negozi non si spengono anche se dentro non c'è più nessuno. mi cadi addosso e non ho il mio cappuccio d'amianto. c'è quel documentario che ti piaceva un botto. tu che nella tua macchina di cartapesta canti canzoni degli anni 80 simulando un inglese perfetto. seduta al tavolino c'è quel tipo di straniera col suo cocktail di metà mattina. signorina buonasera. maledetto il giorno che ti ho incotrato. io ti amerò sempre. non fare lo scemo. un giorno staremo insieme fino alla fine. in fondo io ti amo. tu giri intorno al tuo sguardo e non ti cogli con quell'espressione impotente. aspetti che si svegli a primavera. Sara è morta. riponi le tue vene nel cassetto e ti addentri senza sangue nei meandri dei suoi sogni. sei il suo sogno e non stai dormendo con lei. è solo uno scaldaletto vivente. ti rifugi in un treno. sbucci un mandarino. l'odore si fa strada lungo i bordi. e anche per oggi sarà l'alba.

domenica 6 gennaio 2008

se avessi bevuto un bicchiere di vino ce ne saremmo andati insieme domani

Ehi, Francis, il tuo amico è morto. hai la faccia abbandonata tra le mani. i gomiti che poggiano sul tavolo. il quadro è storto e anche i cavalli raffigurati sembrano aggrapparsi agli incroci della tela. Dai Francis, rispondi a questo cazzo di telefono. è lunedi mattina ma non ci hai ancora fatto caso. il lavandino perde acqua, lei continua a chiamarti, tu continui a perdere punti. il tuo amico è morto di lunedi mattina. non hai mangiato. non hai aperto la finestra. non hai controllato la posta. i pesci osservano te nel tuo acquario. si annoiano. li annoi. c'è un paio di calzini sul termosifone. dei raggi di sole si intrufolano come ladri nella tua gotica inquietudine. arrivi in chiesa. ti guardi intorno. guardi l'altare. ti perdi. l'angolo del coro. immagini Jeff Buckley con una chitarra al collo fermo a mangiarsi le unghie. ti tocca aspettare. hai ancora voglia di alzare gli occhi al cielo. un cielo trafficato da dei, angeli, donne vergini e uomini morti. un cielo intasato. ti trattieni. non sai a chi chiedere il permesso di rivendicare la tua parte di cielo. un cielo vuoto, sgombro, inerme. solo una mensola per qualche nuvola e un paio di birre. Jeff Buckley sale sull'altare. prende il microfono. vorresti alzare la mano e chiedergli finalmente Chi cazzo è Grace. non sei riuscito a evitare che lei si slegasse. non sei riuscito a trattenere niente. anche questo ti poteva succedere. lo sapevi amico, poteva succedere. le messe non finiscono se in chiesa sei solo.

sabato 5 gennaio 2008

vivere m'ammazza.

hai 22 anni e non puoi farci niente. dico 101, dico 102, dico 103 e il faro torna a fare un unico lampeggio. vive. è li. girato verso non so dove a illuminare non so cosa. si gira ogni volta che qualcuno lo chiama. impazzisce. aspetti col tuo caffè in mano. è caldo. volendo, puoi berlo subito. non scotta. pur volendo, non aspettare troppo. diventa freddo. gira l'angolo e parti nel tuo viaggio interstellare per galassie eteronomiche. hai 22 anni e non hai fatto niente per averli. tuo padre ha finito di farti raccomandazioni sul sesso. tuo nonno è morto subito dopo la liberazione. il cane c'è sempre, seduto in corridoio, vicino la porta d'ingresso, e si limita a scondinzolare o, se si sente in forma, alza testa e orecchie per dire T'ho visto. tua madre non è molto cambiata, ora ti sembra vecchia da sempre. hai 22 anni e chi tiene ancora il naso schiacciato contro il vetro non può essere poi cosi stupido. la tua finestra a forma di rettangolo orizzontale divisa in tre rettangoli verticali. il muco che ti scende giù la naso. la manica del maglione che riporta tutto alla normalità. una città piccola ma comunque più grande delle menti aperte che la animano. l'odore del mare che è sempre più puzza di pesce. un corteo senza capo ne coda blocca una strada del centro. hai 22 anni e vorresti guardare con occhi nuovi tutto ciò che non è mai cambiato. ti stendi sul letto, di fianco, e le pulsazione nell'orecchio. le conti. le perdi. riconti. ti dimentichi che le stai contando. pensi ad altro. le ananas. le mosche. le piaghe sui talloni. i piedi gonfi che straripano dalle scarpe. i buchi delle serrature. le cinture di sicurezza. le urla. gli schiamazzi. gli antuncanfè. e cipiticipiti. i blablabla e gli spatafem. immagini il processo di creazione del burro. del formaggio. la tosatura delle pecore. la mungitura del latte. l'odore di te che non ti lavi da giorni. sei stanco. hai 22 anni ed è come se non avessi mai dormito. mai bevuto. mai aperto gli occhi. mai amato. hai 22 anni e sei fermo al centro di una lista per donatori. sei paziente. equilibrato. ti avvicini al punto d'esplosione, sempre più velocemente, sempre più attratto da quella gravità enorme. ne senti il penso. ne sei schiacciato. curvo, continui a camminare. a raggiungerlo, il botto finale. come la grande guerra che tutto cambia. come il bambino che scoppia e il palloncino che piange. perso nell'universo come un semplice relitto. chiedendo asilo ad ogni orbita che capiti a tiro. cerchi un'asteroide in affitto. poi succede. sobbalzi. ti volti. hai sempre 22 anni, la tua vita banale, i tuoi discrsi sul sesso, la macchina con qualche spia sempre accesa e un'anima da rottamare. poi ti svegli, una mattina, con la tua cucina sporca. il tuo caffè. il tuo buongiorno. il tuo computer spento. i tuoi vestiti a terra. il telefono che sembra più morto di te. puzzi ancora. poi ti decidi, e dopo un paio d'ore qualcosa la fai. una pulita te la dai. un blog lo apri. niente sfoghi post-adolescenziali, ti dici. ma ci ricadi. e ti rialzi. e ci ricadi. e ti rialzi. e ci ricadi.