lunedì 31 marzo 2008

che all'amore son venute le rughe d'espressione.

I nostri davanzali senza piante. Yann Tiersen. Dove andrai a dormire? no. Io no. Non soffiarci anche tu sopra. Lascia perdere la cascata, il lago, le montagne innevate, i camaleonti, l’Africa, i budini, le tuniche. Perché agonizzare? E tuo padre mastica con le gengive. e dentro il cerchio tutto era interessante. E non c’è paragone. E a me Yann Tiersen fa ancora impazzire. E infine non lo trovo per nulla edificante vederti a due passi senza volerti. Se parli e non riesco a sentirti. Se vivi e non riesco a gestirti. Siamo caduti alle prove generali. E fanculo le prime. Fanculo i sipari, le scene, i riflettori. Coreografi, tecnici e registi. Te che ti trucchi, te che reciti, te che ti spogli. Te che sei il comico di sempre. Che fa ridere il mondo. E dietro le quinte l’eterno ritorno. È il divertimento che ci manca. E muoviti, che la torta si taglia. E senza luce non hai tempo.

che avevamo confuso il cuore con quei sigari alla vaniglia...

E giochiamo col portachiavi e il bambino ci vende rose senza odore. E salire le scale con le mani. Vivere alla ricerca del mago di Oz. Vivere come in una barzelletta triste. Vivere vivere vivere e ora ancora basta. Il sassofonista delle mie notti insonni. E tu facevi i tuoi riassunti. E inventavamo le colonne sonore. E scrivevi canzoni troppo lunghe e ti dimenticavi la consecutio tempore. E tutto finiva in fretta. Mentre la barba cresceva senza sosta. E secondo me il volume è troppo alto. E ti mangio con gli occhi, ma cosi a masticare non ci riesci. E non sorpassare in curva. E inventati una buona scusa per la zia sarda. Che dei parenti non c’ho voglia. Che la mia memoria si sfalda. E lo stomaco di contorce. E il panda tra poco si estingue. E internet non si connette. E ogni verso è una storia a parte. Basta con l’autonomia. Basta con i sabato sera.

E gli alberi che Loris credeva morti. Che poi erano solo spogli.

Eppure l’aloe cresce lenta nel suo spiazzo. I vasetti di conserve unti già nel tappo.
Le tue ventotto poesie d’amore e d’altre guerre
Le allergie al polline
Le marche di orologi senza prezzo. Che poi un lavoro non lo trovi mai
Neanche se cerchi, neanche se preghi
E cominci a camminare solo su mattonelle bianche
E cominci ad evitare le linee dei marciapiedi
E poni domande ad un bottone
E te che il lago di Como non l’hai mai visto però te l’hanno raccontato bene
E non è neanche facile pensare di essere vivi
Quando si è solo giovani e stronzi
E non fingere di essere il mio Zimbawe
Che l’ho fatta io la tua guerra dei trent’anni.

domenica 30 marzo 2008

che l'amore giù in paese è un servizio comunale.

e non rimane che scriverne, se tutto è già esaurito. che ieri camminavi senza fretta con un coltello in bocca. e oggi potresti uccidere gente mentre parli. e ti ripari nel forno che fuori c'è vento. che fuori fa freddo. che fuori c'è il sale sulle strade. e a me non piace partecipare. che era solo una caccia al tesoro ma non avevo fucili. e andiamo a scovare i buchi che lasciano i lombrichi. me lo diresti ora che era solo paura? e siamo amanti travestiti da fenomeni da baraccone. e il tuo circo ha chiuso le tende. e il gatto non graffia più. hai un altro sogno marcio. e io muoio e non ci penso al senso della tua sensibilità da ragazza. ai tessuti scozzesi. alle mostre su a Firenze. ai linguaggi cinema e video. alle adolescenze e devianze. a rai3 che è sempre fuori orario. ad un oceano verticale da scalare. che l'amore giù in paese è un servizio comunale che ti viene da star male pure a te.

venerdì 28 marzo 2008

c'era una volta un volto di cera.

come pure stare soli. come pure grattare i muri. sgretolarli. trafiggerli. come guardare il soffitto. come lanciare un pappagallo verde dai tuoi aeroplani di carta. come un mare di cose da fare e non sapere nuotare. il letto di Lucia. le poesie di Tim Burton. come amarsi in una camera a gas. porsi domande sulle vongole. contarsi i capelli. vedere l'aria verde. e scusami ma questo non l'ho capito. e scusami ma non sai spiegarti. e scusami ma non ho sbagliato io. e la sabbia volava. e il rumore delle chiavi quando cammini. e mi fermo a guardarti le mani. e rompo i miei vetri interiori. e sono sette anni di disgrazie l'uno ma basta non farlo sapere.

e ancora una volta quel niente mi devasta la vita.

una lezione che sta per terminare
cambia la flebo al malato terminale
strappo la carta e il mio bambino non ride
ma cade
ma incide
un bassorilievo sul davanzale
mi lancia una sfida
la sciarpa gialla ha cambiato colore
l'odore, il rumore, il mare, l'andare
gli orizzonti storti
il cuore che brucia
qualcuno ci soffia sopra
la cenere vola e dove l'hai messa la capra?
attento che muore e la panca si affranta
dal dolore
e al dente che duole è meglio non pensare
che la lingua è l'unica cosa che batte
che il cielo l'hai coperto e non so cosa nasconde
che amare nuoce gravemente te e chi ti sta intorno
che amare provoca infarti e ictus
e aneurisma cerebrale
che per smettere non sai a chi cercare
per farti aiutare
che per fare l'obiettore di coscienza basta mettere una firma
e anche la penna è un'arma
se i tuoi giochi di parole non hanno regole
e chi perde è un incosciente.

sabato 22 marzo 2008

patate riso e cozze. dovresti sedare i tuoi mostri quando mi guardi.

Mentre le ultime lettere cambiano come i deserti e ci fanno ridere sempre le stesse cose. Giornate lunghe due ore. Di sole. E non amo il sole. Ed è come stare in nave. Tra le signore in calore. E c’è un pianoforte nel buio che solo dio potrebbe suonare. E guardiamoli i pesci grandi che mangiano i pesci piccoli. I cane mangia cane. I bimbiminchia. Le soffitte impolverate. I concerti dei subsonica nei locali incensurati. Le forze elettrostatiche. Le lampade a petrolio. Il vino di Aloisio. I libri sul catalogo.
Morte di un amore a perdere senza più colore
E centrifugo il senso dei miei monologhi. E ti vergogni se non riesco a districarmi tra le mie paranoie. È sbagliato e fuori discussione, dovrei sentirmi. E lascio scorrermi veloce i tuoi commenti un po’ paterni sullo stato sulle strade e sui prezzi del mercato. E la rendi più difficile in ogni gesto. Che se esco mi guardo intorno e ho una crisi di rigetto. Maledette le parole che mi fanno indifferente. E dei miei sto male è meglio non parlarne. È l’istinto ad evitarti. Che rivorrei quel trucco. È dura da far piangere i nostri folletti epilettici. E di sonno ne abbiam perso se ancora siamo fianco a fianco, mentre i Muse suonano in quel buco di locale e il freddo è l’unica cosa che si sente.

giovedì 20 marzo 2008

come se qualcuno agitasse ancora le nostre palle di vetro.

luci di tramonto. orizzonti solitari. lacrime che corrono sul bagnasciuga e il vento caldo trascina i gabbiani a largo. le note della tua chitarra immaginaria sovrastano e ricoprono le nostre voci schive. non ho fogli da lasciare incustoditi. non ho sciarpe da dimenticare sul divano. solo il tuo pensiero ricorrente da lasciare in macchina. al sole. senza abbassare il finestrino di un dito. solo i titoli di coda del film cileno da guardare al rallentatore. solo la luna da prendere a morsi. ed è la soglia che si pietrifica dal dolore. il viandante che trova la tavola apparecchiata. il pazzo del centro che canta a squarciagola il suo ritornello. non ho più l'ambizione di rincorrerti. non ho umori da manifestarti. è un cielo di gomma che si mastica. una sposa che scappa. un malato che scende le scale. un ferroviere che deve frenare. un canale che si deve cambiare. il tempo che deve passare. l'amore che deve sfiorire. la primavera che tarda ad arrivare. le parole che provano a fuggire. e i blog che continuano a parlare.