giovedì 29 maggio 2008

rinvenire le tue impronte digitali sui miei occhi.

Domenica pomeriggio e c’era la piazza. Con gli stand per venderti qualcosa. Le piante della salute. A noi. A noi che sguazzavamo nei pianti della salute. Che le maniche lunghe le avevamo tagliate perché tremare ci piace. Vivere nel freddo che uccide. Con le labbra viola. la pelle bianca. Il cuore che rallenta. Hai perso, ritenta. Rientra. Mangiare carbone dolce dentro una scatola di cartone. Che era una nave. Scorrere nell’Acheronte che era il corridoio immaginato male. Sbucciarsi le ginocchia sul fondale. Mercurio cromo sostituito dal catrame. E vedo fermarsi il sistema solare. Intorno ai soli di rame. I pianeti quadrati che rotolano come dadi. E avanziamo sicuri di qualche casella nel caos dello spazio interstellare. Fare dell’universo il nostro gioco di società. Una spa. Montare un tramonto nel giardino che cosi non ci lasciamo mai col buio.

ma i cani ruttano?

Fare un raschiamento alla terra con le mani. Per farla abortire. Per asportarle il seme. Dopo aver circumnavigato la collina. Che forse era un parco. Non ti sedere a terra che è sporco. Guarda il tramonto come cambia aspetto. Una collina per un lombrico. Che alla fine l’abbiamo pure trovato. Lasciato dondolare tra le dita. Sollevato da quella terra violentata. Senza un minimo di accortezza. Mentre si alzava la brezza. E l’abbiamo lasciato con una buonanotte. Che poi ci sarebbe toccata la stessa sorte. Senza arte ne carte. Per leggerti il passato. Per sapere se tutto quell’amore era concentrato. Che forse non sapevi che andava diluito. Che comunque sarebbe finito in ogni caso. Ma forse dopo essere scaduto. E invece ci siamo sfiniti. Acquistati e logorati dall’uso incauto di noi stessi che ci confondevamo sempre le mani nelle tasche. Con la carta d’identità scaduta e lasciata a riva. L’indennità emotiva. Che non ce la siamo concessa e ora siamo rimasti aperti. Sgasati. Sdoganati dall’assenza di chi deve rianimarci. Che tutto crolla sul pavimento in vetro che non si rompe e se ne fotte. E noi ci siamo sotto. E guardiamo tutto. Spaventati dall’inviolabilità del nostro simulacro. La nostra fossa senza scavi. Noi che le meraviglie del mondo moderno non ci sfiorano neanche quando ci crollano addosso.

morire un po' alla volta, che tanto non ho fretta.

Scriviamo i nostri nomi ovunque e chiudiamo gli occhi per non guardarci intorno. Il giorno muore in scacco matto mangiato dalla banda del sogno interrotto. Che tutto è già stato detto e non rimane che sentirlo. Inscrivere il caos nelle tabelle, e soffocare tra le griglie. Le pelle che stringe sul corpo. Pelle che hai lavato male. E si è ritirata. A vita privata. Pelle dai pori dilatati per cambiare l’aria, che è viziata. Che è entrata e non più uscita. Aria che hai dentro mentre soffochi. Mentre sei sulla spazzatura e sei tra la spazzatura e sei spazzatura e ridi nonostante il cattivo odore.

domenica 11 maggio 2008

ti cerco ancora dal basso dei cieli.

Ti scopre per contrasto la voglia di scrivere. Ti coglie come un’intuizione che sfugge continuamente alla presa. Crollano le tue certezze ed il tuo mondo rotola alla ricerca di un fondo. Ho un lombrico sulla carta e tanti grilli per la testa. E ti schiaccia la voglia di giustizia. Un pavimento che continua a salire mentre il soffitto continua a scendere. L’attesa di una fine che non sai quanto possa essere importante. Anche oggi è passato che sei già nel futuro. E la, al confine tra la sera e nottefonda, il buio permette ancora di seguirne i contorni e pare suggerirti che di notte non si muore ma si sogna. Scorre il tempo sul display dell’orologio senza lancette che ne determinano la toccata e fuga, e stai fermo immobile riscaldato dai tuoi desideri. E tutto intorno crolla mentre ascolti un violino. E tutto intorno crolla mentre il bambino continua a giocare da solo col suo palloncino, e ride e gira in tondo. Le formiche sulle gambe e il mondo intero sembra riderne di gusto. Io ho i miei segreti e tu i miei desideri.
C’è l’aiuola dove il cane riposa in pace. Non conoscevo ancora quella parte di me che poi scivolò dal mondo. Intorno c’è l’erba che nasce da terra. E dopo le urla e gli schiamazzi, dopo la tua insopportabile bellezza, quell’innocua svogliatezza, vedo persone silenziose con le unghie sporche che mi graffiano la faccia. Quel fiore un senso ce l’ha. Contiamo le foglie ma inizia tu. Io ho le mie paure e tu i miei pensieri. E nulla è più complesso di una formica. E formiche sulle gambe una meta ce l’hanno. Mentre il giorno è passato tra i canti dei pastori.
E anche se è appena nata la mattina io già zoppico dal sonno.

come incidere il tronco di un bonsai.

Basterebbe aprire gli occhi. Intanto io compro un paio di scarpe nuove e saluto tutti E continuo la mia vita come in un acquario, sognando il sole dell’Africa. Spero che lui sia laggiù. Spero di farcela a rompere il vetro e oltrepassare il confine. Spero di rivedere il mio amico, un giorno, e stringergli la mano. Spero che il deserto sia rosso come nei miei sogni. spero di sbagliarmi. Questo è il mio più grande desiderio. Quello di essermi completamente sbagliata.

sposto mobili. creo nuovi spazi.

giochi la tua mossa con tremenda astuzia che già mi mandi in scacco matto
mentre nel buio fisiologico i miei mostri originari si creano percussioni africanee
cerco ancora di aspirare la polvere che ricopre il mio meglio
e le hai 2 euro da mettere nel carrello?
ed è solo colpa dei film americani se pensi che certe movenze siano volgari
mentre crollano i pilastri del mio egocentrismo
come i buoni propositi sotto l'esame del fondamentalista islamico
mentre le nubi tergiversano nell'aprire un varco
e tu siedi alla mia destra nella piccola utilitaria chiesta in prestito al papà di turno
mentre il custode resta solo con la sua opera d'arte
e io che ne sono uscito incolume dagli sbalzi d'umore dettati dalla montatura dei tuoi occhiali senza lenti
ancora provo a gettarla via questa vita
che come un boomerang mi ritorna sempre addosso
e il cane che volevi a tutti i costi addestrare
continua ad eccitarsi sulla mia gamba
mentre la neve ci cade addosso e li si arresta
e a nessuno verrebbe in mente di agire d'istinto
e ognuno è pieno di difese come un governo che crolla
anche se per ora è meglio non parlarne.
Fortificati
Arrangiati
Maledicimi

sabato 10 maggio 2008

un libro ha sempre un inizio e una fine.

e ha una porta che si varca. quando la pietra è ancora lava.
che noi ci siamo entrati e ci siamo persi.
e insieme era l'inferno. da indagare in penombra.
da setacciarne gli angoli. per trovarne il senso.
per stringere col pugno cosa non era inferno.
per scendere a terra sui tuoi trampoli. che ti tengono in alto.
che nei tuoi capelli si impigliava la luna.
che annulla le paure. imponiamo l'ordine e la misura.
che la vita va preservata. conservata. collezionata.
e noi la vendiamo di seconda mano.
e la mettiamo all'asta.
che è tutto quello che ci resta
e più non ci interessa, alzare la testa
se non puoi calcolare il cielo
che è ancora in città
dove il peggio non si vede.