Fare un raschiamento alla terra con le mani. Per farla abortire. Per asportarle il seme. Dopo aver circumnavigato la collina. Che forse era un parco. Non ti sedere a terra che è sporco. Guarda il tramonto come cambia aspetto. Una collina per un lombrico. Che alla fine l’abbiamo pure trovato. Lasciato dondolare tra le dita. Sollevato da quella terra violentata. Senza un minimo di accortezza. Mentre si alzava la brezza. E l’abbiamo lasciato con una buonanotte. Che poi ci sarebbe toccata la stessa sorte. Senza arte ne carte. Per leggerti il passato. Per sapere se tutto quell’amore era concentrato. Che forse non sapevi che andava diluito. Che comunque sarebbe finito in ogni caso. Ma forse dopo essere scaduto. E invece ci siamo sfiniti. Acquistati e logorati dall’uso incauto di noi stessi che ci confondevamo sempre le mani nelle tasche. Con la carta d’identità scaduta e lasciata a riva. L’indennità emotiva. Che non ce la siamo concessa e ora siamo rimasti aperti. Sgasati. Sdoganati dall’assenza di chi deve rianimarci. Che tutto crolla sul pavimento in vetro che non si rompe e se ne fotte. E noi ci siamo sotto. E guardiamo tutto. Spaventati dall’inviolabilità del nostro simulacro. La nostra fossa senza scavi. Noi che le meraviglie del mondo moderno non ci sfiorano neanche quando ci crollano addosso.
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