Ho detto basta. E non ne capivo la portata. Gli effetti collaterali.
Che causa raramente la morte ma tutto può essere.
Era la terza fase che il telefono ha suonato
E ho cercato di fare qualche cosa per cambiare questo sfondo
Questi muri spessi
Che non sono quelli che attraversavi e non sono quelli che attraverso
Quando uccidevi la paura con un solo gesto
Quello strano giorno che non ricordo
Che poi i tuoi passi alzavano il vento che a stento avevamo addormentato.
E ci guardiamo intorno contando gli estranei che ci abitano il nostro mondo
Che lo vivono, che lo deteriorano
Che ce lo cambiano mentre non ci siamo.
E poi mi chiedi dove ho messo le chiavi che non ho mai toccato. Attendere un po’ di fiducia. Baciarsi nella nebbia per far finta di non esserci. E regalami questa vita. Ma non credi sia vera. Dormi che io continuo a contare le corde della tua chitarra immaginaria. E perché non facciamo che siamo soli insieme? Che non c’era niente da salvare ma volevamo arrenderci insieme. vestiti di bianco. Il battesimo di una nuova ispirazione. Un amore amaro dal dolce finale. La naturale conclusione del nostro ciclo. Che era come crescerci in un unico guscio che il freddo ha rotto. Che il freddo ci ha tolto la primavera dagli occhi. Che le poso le nostre scatole, richiuse, sigillate. E cerco un’altra casa che mi protegga. Un altro quartiere che mi accolga. Un’altra storia che mi contenga. Che mi leggo ancora scorrere nei tuoi titoli di coda. Mentre la sala è vuota e le luci spente. E cerco nuovi spunti per accelerare il naturale processo di eliminazione. Che lo dicevi anche tu, “forse sei un congegno che si spegne da se”.
160614
10 anni fa