l'uomo di Perugia che suonava il violino. ce l'ho stampato in testa. dal naso grosso. a parlare con te di vecchi cortometraggi ambientati nei Balcani. di guerre d'altri tempi. del secolo scorso. parole che rapiscono orecchie senza troppe difese. che era tutto inutile ma non mi muovevo di un centrimetro. che era bello rubare l'ascolto dei tuoi aneddoti osceni. che noi non ne potevamo parlare. che anche cosi erano borse di ghiaccio sulla mia mente malata. sulla mia mente malata di cuore. cuore prestato a un lanciatore di coltelli alle prime armi. riavuto lacerato. logorato. usurpato dal tuo cancro. mentre tu scorrevi e io ti rincorrevo. a zig zag tra gli alberi di quel bosco che portava i nostri nomi incisi su ogni sogno che il lombrico suggeriva. il lombrico logorroico che si arrotolava su se stesso. che forse aveva mal di stomaco, e lo dovevamo aiutare. che abbiamo aiutato tutti tranne noi stessi. e ora è tardi per salvarsi. per salvarci. noi, che oltrepassavamo la linea gialla alla stazione. noi che gli elfi le streghe i flauti i maghi. noi che camminavamo sui binari contromano. e "vivere" era una parola a cui ognuno trovava il suo contrario. e poi ci siamo nascosti senza decidere chi doveva venirci a cercare. che ancora guardo il cielo e la tua assenza. e settembre è sempre ad aspettarti.
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