Che anche i salici piangenti ridevano di noi. Che autoironia era una brutta parola. E il mare che straripava dalle nostre mani. Abbattere muri abbattere muri abbattere muri. Ed è già ora di guardare il cielo. il tempo con le ali che ci passa sopra. Cercare la muffa nei bagni umidi. Quando tutti cadevano dalle nuvole e tu dicevi saltiamo sopra ora che non c’è nessuno. E una miriade di sguardi diversi che non potevamo incrociare. Come camminare su tegole i legno per sentire scricchiolii sinistri. Come il vino che resta giovane mentre noi venivamo erosi. Come la montagna nascosta dalla cascata. Che svanisce. Che sparisce. Che smentisce le nostre promesse di stabilità. E il sudore eliminava il naturale ciclo delle stagioni. E li conosciamo bene questi odori. Resina pioggia acida sale terra azoto liquido. Non c’è un sogno più breve di te. E ritorniamo a vivere nei seminterrati dei miei castelli in aria. Per vedere camminare le persone. Per nutrire il mio amore maniacale. Per guarire dalle podo-ossessioni. Sparare colpi nella terra. Mirare ai fili d’erba tra il marciapiede e la strada. Tra la terra e la strada. Tra la carcassa del cane che voleva giocare a rincorrere i finestrini e le formiche incolonnate. La storia del trivellatore. Le nostre storie in capitoli da otto pagine ciascuno. Ideare copertine sul far della sera e appenderle in cielo, che fanno luce.
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