lunedì 5 agosto 2013

quando il mare ti scrive le parole.

tu fermo ad aspettare di parlare. Con le stelle che ti cadono in testa. i pugni si stringono in tasca. La notte ti accoglie come niente nel vento di ponente. e continuo a tremare tra le tue braccia. e piango sotto ogni carezza. ed ogni alba è una notte diversa. che che cosa siamo di unico noi due. come sotterrarsi nella sabbia senza arrendersi. mentre scivoli sulle acque e l'unica cosa che penso e quanto freddo hai. lasciami senza te a sognarti con quei modi buoni e discorsi ignari. che mi chiedevi a cosa pensassero le suore. e io volevo solo scopare. e non c'è niente di più freddo di una estate che finisce e un amore che avvizzisce. Ma dammi un la che il canto riprende. come un lungo letargo di suoni senza vita. chissà se il tuo cuore batte ancora. come una montagna d'inverno lasciata li a riempirsi di neve. come un sole sceso a liberarla da qual candido peso. chissà se Lucy la tocchi ancora. e niente c'è di più chiaro ormai. che una ricaduta. una arresa alla tragedia della vita. e tacere come un assolo di piano giunto alla fine. e un fuoco li fermo a farci sudare. Ero un supereroe che raccontava storie.

mercoledì 14 marzo 2012

è un fight club neurale

cosa si prova a morire
vorrei poterlo disegnare
con un rosso fuoco spento
da un vigile inesperto
con un blu cobalto
con un salto da imparare
prova a spiegare
come morire
come poterlo risentire
l'odore del mare
nell'aria della Sila
prova a gridarlo come farebbe un'anziana signora nella corsia di un ospedale
fai male a tossire
al fresco devi andare
e di solitario non rimane che l'anello
che ora diventa un cerchio alla testa
che ora si riempie di poesie
passate che non fanno più rima
poesie sotterrate da parole mute
e quanto è stato bello
sapere di averlo scritto
prima ancora di viverlo
che chiedavamo una penna
oggi cerchiamo la vita


sabato 27 agosto 2011

perdenti ridenti

Vorrei alzare il tuo velo. Sei solo ma io non ti credo. Né cedo alla folla che pressa la piazza disparsa procede la festa del santo patrono che tutti ci ignora e rasenta volando la fogna. Ascolta l’odore di muffa che sale dal cielo leggero cadendo il frastuono ci sveglia dal sonno profondo nel mondo restando da quando siam nati. Morti solo per noi stessi. Mi manca la sabbia attaccata alle tue mani che ogni carezza sanguinava. I blocchi di fogli bianchi coi santi che che volevano ricordarci le nostre amnesie. Misteriosi castelli gemelli nel mare si ergevano forti come fratelli tra le corti di spagna piantavamo i nostri futuri troppo gelidi per schiudersi al sole. E tu venivi dietro ogni data raccontata e sorrisa e commentata da attenti risentimenti celanti cuori affranti dalla lontananza delle onde. E tutto riecheggiava lontano giù fino al cimitero sottile come le ruote della tua citroen vecchio stampo che dentro potevi trovarci cappelli a cilindro ma anche ragni ad angolo. Ed era estate e pioveva e grandinava solo perché ni potessimo restare soli ancora un altro po’.

E pioveva e grandinava solo perchè potessimo restar soli un altro po’. Che insieme eravamo più forti dell’estate. Restando ore a spiare il ghiaccio cadere. Mentre il legno raccontava storie di qualche anno fa. E non perdemmo nulla tranne il sole sopra l’ombrellone.

martedì 28 giugno 2011

modificare la costa per farla diritta

che i fumatori di crack un anno fa erano forti e neri. c'era una musica al mare che potevi sentire. vivendo tra la sabbia non ti strappavi. come biglie seppellite da bambini occupati a scavare bucavamo il mondo per farlo migliore.
e le matite le grafiti i diamanti le dita grosse la vita di sempre l'esordio nel mondo l'eterno ritorno la serenità che cercava l'aumento dei prezzi i salari bassi le lauree triennali la fame le dune l'america del sud che festeggia il carnevale e non si spoglia più.
che bastava dell'acqua a farti scappare. e non c'era niente per poterti asciugare. nascondersi per non fumare. nascondersi per non fumare. nascondersi per non fumare mentre partorivi.

lasciando il cuore sul comodino torno al solito lavoro.

tornano i fantasmi in tv. che ci facevano paura. e non dormivamo più. sui letti giapponesi. che avevamo scavato la terra per metterli meglio. per guadagnare spazio e spenderlo in birre. e i monaci pregavano per noi, per farci tornare l'amore delle superfici. per le nostre vite infelici. che giocavamo a spaventare i mostri sulle scale dei condomini. gettavamo piatti nelle strade nelle vie dove le api pungevano a tutte le ore. dove si vedeva il dolore delle amarene al mercato delle fiere e si beveva il sangue delle mattine estive.
non potevamo sognare se non vivevamo. non potevamo arrenderci se non partecipavamo.
che mi dicevi di seppellire gli zombie ancora vivi, e poi ti riaddormentavi. coi capelli ancora bagnati di pioggia in mezzo alle strade gridavo in coro contro il governo e non lo volevi. piantare ulivi in collina ci avrebbe allontanati. vecchie storie scadute tornano a pretendere le nostre vite. per rovinarci di nuovo le scarpe nuove con la polvere dei terreni sterrati. con le feste di paese e le sagre le case i maghi futuri vissuti solo sulla bocca della zingara della domenica sera. non c'erano commedie a rapirci l'attenzione. non c'erano spazi per colorarci.
chi ci ruberò domani? chi scivolerà via i nostri dolori i nostri tumori le nostre paure sradicate dalla monotonia dai grigi delle scale dai sogni finiti male dalle notti passate a non dormire.
e studiavo come poterti colpire. come non farti morire. dove lasciarti pregare il mio nome. volevo una musa da guardare marcire.
che era bello infrangere i tetti cadendo dall'alto.

mercoledì 16 febbraio 2011

che mi toglievi il cuore dagli occhi

chiudere gli occhi controvento. cosa potevi mai volere sedendoti sul marmo. non c'era nulla da sfatare in alto mare. col nostre barche senza vele a spingerle per farle andare. e inventavamo il francese. che faceva troppo caldo per tutto il resto. troppo freddo per poco altro. elenchi di cose in fondo e in superficie. che tutto si riempiva d'acqua e avevo paura. come affondare una religione nuova. come conoscere gente buona. che c'era comunque qualcosa che batteva. mentre il tuo sguardo si muoveva veloce come la luce. le parole emigravano da altre parole. e senza discorsi potevamo solo dormire. lontani due emisferi. lasciandoci su facebook come le coppie normali. e maturava il grano in campi che non riuscivo a vedere. e me lo narravi. di cosa possano pensare le spighe del sole. e il rispetto per le esigenza dell'uva. contadini senza mani che si muovevano di corsa in storie neanche troppo lunghe. e c'erano case bianche e colonne e cancelli aperti con vecchi furgoni laghi vagoni ladri maggioni e sorrisi che portavano frutta da regalare e saluti a casa famiglia parenti serpenti a cui bisogna prestare attenzione. come ai parcheggi in seconda fila. e la calma del mare d'autunno. il vento che rompe il mondo. camminare vestiti d'inverno sui nostri ricordi abbronzati e già sbiaditi. imparare le regole di giochi a cui non giocherai e mangiare prima di indietreggiare. prima di ingrassare. cercando la frutta di stagione. e non c'era spazio per farsi posto. solo un miraggio del tuo ricordo distrutto dalla sete dell'inverno.

percorrendo strade di campagna speravamo di perderci nei capoluoghi di provincia

quando di notte non riuscivamo a dormire. e i nostri cuori li riponevi in cucina. fanno troppo rumore, pensavi. ma non lo dicevi. fedele al tuo basso italiano sessantottino. pensando di muovere i fili delle mie espressione facciali. che un vecchio sorriso, volevi. che i muscoli erano arrugginiti. ed ero un animale domestico ma non mi sfamavi. mentre i vestiti sporchi ricoprivano le pile di libri da leggere. e i virus annerivano i film presi in prestito da emule. come nelle biblioteche comunali. senza lungaggini burocratiche. senza sportelli da salutare. ricercavo l'orizzonte in ogni campagna. mentre la tua mano cambiava marcia e l'ulivo sulla collina sembrava pronto a farci festa. sorgerà la luna un giorno, e mi sporgevo dal parabrezza. mentre le blatte infestavano i ricordi delle nostre estati e le onde rompevano quei nuovi silenzi sabbiosi. e scavare e scavare per venire al buio delle barche che riposano in pace d'estate lasciate sul molo ad aspettare il ritorno del proprio padrone. come cani fedeli ci seguivamo con gli occhi nei nostri arrivederci. ed erano ore passate a pensarci senza vestiti. stretti sui nostri letti sudati. e tornava la calma dei pomeriggi d'agosto a parlarci di tutto. e anche il cuore rispettava i nostri limiti. rimettiamo ordine nei nostri corpi e fazzoletti nelle nostre tasche. e spostare l'equatore per non sudare. e volevamo spezzare l'orizzonte per non poterci più allontanare.